La carta d’identità? È acqua passata. In Cina, una nuova legge entrata in vigore il 1° dicembre impone di sottoporsi a una scansione facciale quando si compra una nuova sim per lo smartphone. A occhio e croce i cittadini non sono rimasti troppo stupiti da questa novità, visto che ormai passano per il riconoscimento facciale anche quando entrano in metropolitana (accade a Zhengzhou: per chi si registra tramite app, il costo del biglietto viene direttamente scalato dalla carta di credito).
In contesti decisamente meno sereni, ne sanno qualcosa gli uiguri dello Xinjiang, schedati e intercettati senza sosta dalla polizia – e ora anche dalle telecamere.
O i ragazzi che scendono in piazza a Hong Kong, che si guardano bene dallo scattarsi un selfie e, anzi, preferiscono indossare caschi e maschere antismog.
Già, perché i vari sistemi di raccolta dei dati biometrici (di cui il riconoscimento facciale è soltanto il più celebre) sono comodi, immediati ed efficaci, ma inevitabilmente ci impongono di sacrificare un altro pezzettino della nostra privacy. Fino a che punto ne vale la pena?
Il boom dei sistemi di identificazione biometrica
La domanda è assolutamente attuale e ci riguarda tutti. Se è vero che la Cina è l’esempio più estremo, è vero anche che il settore del riconoscimento biometrico è tutt’altro che una nicchia. Secondo Grand View Research arriverà a un giro d’affari di 59,31 miliardi di dollari entro il 2025, con un tasso annuo di crescita composto del 19,5% dal 2018 in poi. La stima di ReportLinker, ancora più ottimista, sostiene che si passerà dai 33 miliardi del 2019 ai 65,3 miliardi nel 2024.
Fin da bambini sappiamo che le nostre impronte digitali sono un segno di riconoscimento unico al mondo, e negli ultimi mesi ci stiamo abituando all’idea del riconoscimento facciale. Ma le tecnologie ormai sono in grado di schedarci anche sulla base della termografia del nostro volto (cioè del calore che emana), della nostra voce e delle caratteristiche dell’iride e della retina. Si inizia a parlare anche di analisi del dna – che però impone tempi e costi notevoli – e del battito cardiaco.
Riconoscimento facciale: gli utilizzi più comuni
Insomma, tra qualche anno potremmo non avere più alcun bisogno di memorizzare pin e password. Il riconoscimento facciale è già realtà (o lo sta diventando) per svariate attività davvero comuni:
- Gli smartphone più recenti già offrono la funzione di “sblocco col sorriso”, che gradualmente verrà integrata anche nei sistemi di pagamento digitale. Tra l’altro, questa funzionalità risulta perfettamente in linea con le nuove norme sui pagamenti elettronici introdotte dall’Unione europea a partire da settembre 2019. Già da un paio d’anni in Cina basta farsi inquadrare alla cassa di Kfc per ricevere la propria porzione di pollo fritto, senza nemmeno dover tirare fuori il portafogli dalla borsa; e Alibaba, che ha sviluppato la tecnologia, ha promesso di inserire addirittura un filtro bellezza!
- Se i banner pubblicitari nei siti web già si adeguano ai comportamenti dell’utente che li sta visualizzando, non si può dire lo stesso per gli schermi negli aeroporti e nelle stazioni. Ancora per poco, però. Sono in via di sviluppo alcune tecnologie che inquadrano la persona che sta passando davanti allo schermo, capiscono il suo genere e la sua età e incrociano questi dati con i fattori esterni (meteo, stagione, orario). Così facendo, possono mostrarle la pubblicità verosimilmente più adatta alle sue necessità di quel momento.
- I software sono in grado anche di riconoscere le emozioni a partire dalle espressioni del volto. Pensiamo a quanto può essere utile, per le forze dell’ordine, poter tenere d’occhio gli individui che si aggirano per strada con atteggiamento un po’ troppo agitato.
- In Cina (tanto per cambiare!) i tornelli della metropolitana si aprono automaticamente quando si avvicina un passeggero over 60 che ha diritto all’ingresso gratuito. Con i dovuti accorgimenti, il medesimo sistema potrebbe essere applicato anche a stadi, stazioni del treno o a tutti quei contesti in cui smaltire velocemente la fila può fare la differenza, soprattutto per anziani e disabili.
- Altri sviluppi molto promettenti arrivano dalle startup del settore medicale. La britannica Feebris per esempio ha lanciato un’app per diagnosticare a distanza le patologie respiratorie come l’asma. Il sistema di AI Cure, invece, monitora dallo smartphone le espressioni del paziente per aiutare il medico a capire se sta seguendo il protocollo di cura.
Riconoscimento facciale e privacy
Per le grandi aziende questo settore è una miniera d’oro. Tra i potenziali clienti, i primi della lista sono le forze dell’ordine, a cui i vari sistemi di riconoscimento biometrico potrebbero letteralmente cambiare la vita: addio alle lunghe procedure di identificazione degli indagati, basta una ripresa video e il gioco è fatto. Negli Stati Uniti già funziona così.
Con ogni probabilità, a noi “comuni mortali” questa rivoluzione non suscita tutto questo entusiasmo. Siamo davvero pronti a vivere in una sorta di Grande Fratello orwelliano in cui ogni nostro movimento può essere monitorato a nostra insaputa? Soprattutto, che fine fa la privacy che sentiamo sbandierare ai quattro venti da più di vent’anni?
Su questo fronte abbiamo una notizia buona e una cattiva.
Iniziamo, come da tradizione, con quella cattiva. Come spesso accade nell’ambito del digitale l’innovazione corre molto più veloce del legislatore. Lo dimostra il fatto che stiano fioccando le cause relative all’uso improprio dei dati biometrici, con esiti altalenanti. Ha fatto molto scalpore, per esempio, la class action che ha costretto Facebook a tornare sui suoi passi: prima il sistema di riconoscimento facciale usato per taggare gli amici nelle foto era attivo in automatico, ora invece dev’essere avviato volontariamente dall’utente. Il problema è che le azioni legali arrivano inevitabilmente dopo: nel frattempo le aziende hanno già avuto in pasto i nostri dati e li hanno impiegati come meglio credevano.
GDPR e Intelligenza Artificiale
La buona notizia invece sta nel fatto che noi europei abbiamo un ottimo alleato. Stiamo parlando del GDPR, proprio lo stesso che nel 2018 ci ha fatto un po’ penare costringendoci a dare e richiedere consensi per una serie infinita di operazioni. Al considerando 51, il regolamento generale sulla protezione dei dati dice a chiare lettere che la semplice foto di un viso va considerata come un dato biometrico quando permette di identificare in modo univoco il soggetto. E per maneggiare i dati biometrici serve il consenso esplicito dell’interessato.
Uno a zero per i cittadini europei, quindi. E non è finita qui. Per ora di ufficiale c’è ben poco, ma secondo diverse fonti (riportate da Agenda Digitale) l’Unione sta lavorando a un nuovo “manuale per l’utilizzo legale dell’Intelligenza Artificiale”. A partire dal GDPR, vorrebbe quindi sviluppare nuove linee guida chiare e specifiche, rivolte sia alle aziende sia agli utenti. Tutto ciò non va inteso come un freno allo sviluppo del settore ma come una grandissima opportunità, chiarisce Digital4biz. Con un “bollino di garanzia” ufficiale, diventerà più facile introdurre le nuove tecnologie nei contesti in cui risultano davvero utili alla collettività.
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