“L’uso del cellulare e di altri dispositivi elettronici rappresenta un elemento di distrazione sia per chi lo usa che per i compagni, oltre che una grave mancanza di rispetto per il docente configurando, pertanto, un’infrazione disciplinare”. È quanto scriveva il ministero dell’Istruzione italiano già nel 2007, con una circolare ripresa anni dopo dall’attuale ministro Giuseppe Valditara. C’è un però: i cellulari, chiarisce una circolare del 2023, possono entrare in classe “quali strumenti compensativi” e, se il regolamento d’istituto lo prevede e il docente è d’accordo, “per finalità inclusive, didattiche e formative”. Ma come distinguere tra l’uso educativo e quello diseducativo dello smartphone a scuola? Una domanda che, con i dovuti distinguo, può essere estesa a tutte le nuove tecnologie, dai social media a ChatGPT. Non è così facile dare una risposta, perché tra il bianco e il nero ci sono innumerevoli sfumature.

Con i social media, addio concentrazione a scuola

Inutile ignorare l’elegante nella stanza: gli smartphone, e in particolare i social media, hanno compromesso – in modo forse irreversibile – la nostra soglia di attenzione. Svariati studi scientifici riscontrano questo effetto negativo fin dall’infanzia e dall’adolescenza, anche perché i social network spingono a fare più cose contemporaneamente: per esempio, si studia ma con un occhio allo schermo per intercettare le notifiche in arrivo. E questo accade sempre, costantemente; cosa ben diversa rispetto a prendersi una pausa dai libri per fare merenda o guardare mezz’ora di televisione.

C’è anche chi cerca di ammantare questa routine di un certo fascino, dandole il nome di multitasking. Ma parliamoci chiaro, il multitasking non esiste. Il nostro cervello non fa due cose in contemporanea: piuttosto, sa passare da un’attività all’altra senza sosta. Peccato, però, che impieghi in media 15 minuti per ri-orientarsi sul proprio compito primario dopo una distrazione, con un calo dell’efficienza che arriva fino al 40%. E ripercussioni negative sulla memoria a lungo termine e sulla creatività.

social media e attenzione

Da insegnanti a content creator

I social media, dunque, tendono a distrarre. Su questo non ci piove. Assodato questo fatto, possiamo porci la domanda successiva: che tipo di contenuti seguono ragazzi e ragazze? La domanda è solo in apparenza banale. Istintivamente, infatti, tendiamo a dare per scontato che ci sia una cesura netta: da una parte la scuola, dall’altro lato i social media. Spesso e volentieri è così, ma c’è anche molto altro.

Ce lo ricordano persone come Vincenzo Schettini, meglio noto come La fisica che ci piace; Lorenzo Baglioni, sbarcato anche a Sanremo con il brano Il congiuntivo; Elena Stefani, su Instagram @speedylanguages; Francesco Cositore, alias Vaporetto Italiano; Elia Bombardelli; Matteo Saudino, AKA Barbasophia. L’elenco potrebbe continuare a lungo, ma il principio è lo stesso: sono insegnanti, ma sono anche creator che offrono contenuti divulgativi gratuiti e accattivanti, da affiancare al canonico studio sui libri.

ChatGPT: strumento didattico o aiuto sleale?

Chi ha frequentato la scuola nei primi anni Duemila probabilmente ricorda quel brivido del proibito nell’imbattersi in una versione di latino già tradotta su internet. Un “trucchetto” che impallidisce di fronte a uno strumento come ChatGPT, capace di scrivere saggi, tradurre testi, risolvere problemi di matematica e molto altro. Tutto questo nell’arco di pochi secondi.

“Molte scuole si sono sentite come se fossero state colpite da un asteroide”, sintetizza Kevin Rose sul New York Times, con un paragone decisamente azzeccato. La reazione più istintiva è stata quella di vietare l’uso di ChatGPT. Tanto istintiva quanto inutile, visto che gli studenti continuavano indisturbati ad accedere da smartphone, tablet e computer personali.

ChatGPT a scuola

Che fare? Alcuni insegnanti si affidano a tool come come DetectGPT, GPTZero e Open AI Detector, capaci di individuare un testo scritto con ChatGPT. Ma, all’insegna dell’adagio “se non puoi batterli unisciti a loro”, Kevin Rose dà loro tre consigli un po’ diversi:

  • Dare per scontato che tutti gli studenti usino ChatGPT per svolgere i compiti a casa. In ogni circostanza. Magari non è così, ma immaginarlo è un buon esercizio perché obbliga ad adeguare i propri metodi.
  • Non fare troppo affidamento sui software antiplagio, ancora rudimentali.
  • Sforzarsi di capire come funziona ChatGPT, cosa sa fare meglio e in cosa può tornare utile. In caso contrario, rischiano di farsi superare dai loro stessi studenti.

Questi sono soltanto alcuni esempi che fanno capire quanto il tema della tecnologia e dei social media a scuola sia ampio e ricco di sfaccettature. Non ha senso tracciare una linea tra una tecnologia giusta e una sbagliata, così come non ha senso pretendere di “spegnerla”, seguendo gli stessi metodi didattici di venti o cinquant’anni fa. Che fare, dunque? Accoglierla, capirla e, ove possibile, considerarla come una compagna di squadra.

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