Se sei titolare di una piccola impresa con una buona presenza sul web, prova per un attimo a chiudere gli occhi e immaginare un mondo in cui non ci sono annunci su Google e i social sono, al più, passatempi riservati ai nerd delle università americane. Per promuovere la tua attività devi accontentarti delle costosissime pubblicità nelle radio e nei quotidiani locali, in cui il tuo brand si confonde nella mischia dei competitor. Un incubo, vero? Eppure, fino a un paio di decenni fa le cose andavano esattamente così. Sul fatto che le inserzioni personalizzate abbiano spalancato la porta a innumerevoli possibilità di business siamo tutti d’accordo. Ma cosa ne pensano gli utenti? Vivono con tranquillità il continuo tracciamento dei dati personali ai fini di marketing? Oppure lo considerano come una scocciatura o – peggio – un’intrusione indebita nella loro privacy? Prende il via da quest’interrogativo un sondaggio che Google ha commissionato all’istituto di ricerche di mercato Ipsos.
La pressione sociale sul tema della privacy online
Per essere precisi, il report combina i risultati di diverse ricerche quantitative e qualitative che hanno coinvolto, nel loro insieme, più di 9mila persone tra Paesi Bassi, Regno Unito, Germania, Francia e Svezia. I risultati destano qualche sorpresa perché non tracciano una linea di demarcazione netta tra le aziende avide di dati e i consumatori gelosi della loro privacy. Al contrario, il quadro è molto più ricco di sfumature.
Un fenomeno piuttosto curioso, riscontrato in particolare nel Regno Unito e in Olanda, è la pressione sociale sul tema della privacy online. Cosa significa? Significa che, se interrogati sul tema, gli utenti si sentono quasi obbligati a esprimere preoccupazione per il tracciamento dei dati personali; in caso contrario, temono di passare per sprovveduti. Nei fatti, però, tanti di loro non hanno ben capito cosa ci sia di tanto pericoloso, e non hanno voglia né tempo di intervenire sulla mole di dati condivisi con le varie piattaforme. Alcuni sperano quasi che il problema si risolva da solo.
Tracciamento dei dati personali, cosa ne pensano gli utenti
Per scendere del dettaglio, passiamo in rassegna alcune risposte:
- Il 73% degli utenti si dice preoccupato per il tracciamento dei dati personali online, ma una percentuale molto simile dello stesso campione (il 76%) non conosce i propri diritti in materia.
- Su mille intervistati, soltanto il 21% ritiene di sapere in modo approfondito quante e quali informazioni che lo riguardano vengono raccolte online.
- Quasi tutti gli intervistati (il 95%, sempre su un campione di mille) si mostrano riluttanti all’idea di lasciare i propri dati personali a un’azienda online, ma più di 7 su 10 l’hanno fatto pur di ricevere un servizio o acquistare un prodotto.
- 9 utenti internet su 10 preferiscono acquistare da brand capaci di proporre offerte e suggerimenti rilevanti per loro.
- Più gli utenti si avvicinano al momento dell’acquisto, più apprezzano le inserzioni personalizzate.
- Tra coloro che non si sentono padroni dei propri dati online, pochi intercettano pubblicità che ritengono davvero interessanti (il 18%). Una percentuale che invece sale al 43% per gli utenti consapevoli delle modalità di tracciamento dei dati personali.
Tre parole d’ordine per chi fa marketing online
Cosa ci insegnano questi dati? Che è vero, c’è un po’ di istintiva resistenza all’idea di aziende e piattaforme che tengono traccia dell’identità e dei comportamenti degli utenti. Ma, se lo dichiarano apertamente e se hanno l’intento di fornire servizi utili e personalizzati, allora ne vale la pena. E le persone ne sono consapevoli. Nell’interpretare i risultati della ricerca, dunque, Google suggerisce ai professionisti di mettersi all’opera per far sì che le proprie attività di marketing siano:
- Significative. I clienti, ormai, hanno aspettative altissime. Quanto intercettano un annuncio, esigono che sia mirato sulle necessità che manifestano in quel preciso momento e che offra loro un reale valore aggiunto. Per ottenere questo risultato, sono più che disposti a comunicare i propri dati.
- Memorabili. Tanti consumatori perdono la fiducia nei brand quando vengono disturbati all’improvviso da sms, email o telefonate inaspettate. Soprattutto quando non ricordano di aver espresso alcun consenso a quella specifica azienda. Simili incidenti di percorso si possono evitare con una maggiore trasparenza: quando si raccolgono i dati degli utenti, è bene spiegarlo con parole semplici e non con astruse formule in legalese.
- Gestibili. Tra le sensazioni che indispongono di più le persone, c’è quella di aver perso definitivamente il controllo sui propri dati dopo aver cliccato inavvertitamente su “acconsento”. Non è così che dovrebbero andare le cose. È loro diritto sapere sempre con esattezza quali informazioni hanno fornito alle aziende; e anche cambiare idea, revocando le autorizzazioni.
Insomma, lavorare con onestà e trasparenza magari significa adottare qualche accortezza in più. Ma sono sforzi che vengono ampiamente ricompensati.
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